Se non è mobbing, quando si può parlare di straining?
Secondo la Suprema Corte di Cassazione ai sensi dell’art.2087c.c., il datore di lavoro è sempre tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative “stressogene” (cd. “straining”), quindi diverse da quelle vessatorie e persecutorie che integrano il mobbing, ma di fatto comunque lesive del diritto alla salute del dipendente.
Pertanto se il giudice del lavoro dovesse esclude l’esistenza del mobbing, non ritenendo sussistente un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi lamentati appunto ai fini della configurazione del “mobbing”, dovrà valutare se dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa comunque e presuntivamente ritenersi integrato la fattispecie più tenue dello straining con conseguente liquidazione del risarcimento del danno subito dal lavoratore.